Controllo occulto: tecnologia vs. investigazione

La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del tema del controllo occulto dei lavoratori con due recenti sentenze, la n. 13019/2017 e la n. 14454/2017.

Sentenze opposte queste, l’una di accoglimento del ricorso del lavoratore licenziato e l’altra di conferma del licenziamento attuato dall’azienda, che però ribadiscono e rafforzano l’orientamento giurisprudenziale in materia di controllo dei lavoratori.

Nel primo caso, infatti, il dipendente, un barista, era stato licenziato per la mancata emissione dei regolari scontrini fiscali e l’indebita appropriazione di parte dell’incasso della struttura. Le evidenze erano state prodotte dal datore di lavoro, che, rivoltosi ad un’agenzia investigativa, aveva richiesto l’installazione di una telecamera occulta a monitoraggio della cassa del barista.

La Corte di Cassazione, in linea con la corte territoriale, ha ritenuto illegittimo il licenziamento e inutilizzabili le immagini poiché il sistema tecnologico in uso era volto al controllo diretto dell’attività del dipendente e non poteva rientrare tra i controlli difensivi a tutela degli asset aziendali. La Corte ha specificato, inoltre, che la pronuncia sarebbe stata differente se il datore di lavoro fosse ricorso a controlli a campione attraverso la simulazione di acquisto da parte del personale investigativo che, presentandosi alla cassa come cliente, avrebbe potuto verificare il corretto rilascio dello scontrino.

Proprio questa strategia, infatti, è stata messa in atto dall’azienda protagonista della sopraccitata sentenza n. 14454/2017. In questo caso, la Corte ha respinto il ricorso di un addetto alla cassa, sospettato di ammanchi, scoperto a non registrare le vendite dagli investigatori privati, nelle vesti di clienti, incaricati dal datore di lavoro. Tali soggetti, fingendosi normali clienti dell’esercizio, si sono limitati a presentare alla cassa la merce acquistata e a pagare il relativo prezzo, senza porre in essere manovre dirette a indurre in errore l’operatore, il quale non ha però erogato regolare scontrino.

Secondo la difesa, gli elementi di prova così assunti erano privi di adeguati riscontri e illegittimi, posto che non risultava fatta al dipendente la comunicazione prevista dallo Statuto dei lavoratori.

Come precisato dalla Cassazione, però, il ricorso a questa tipologia di attività investigativa di mystery shopping, che rientra di fatto nei controlli occulti, è comunque da ritenersi legittima. Il controllo, difatti, riguarda sì l’operato del dipendente, ma il presunto illecito non fa riferimento al mero inadempimento della prestazione lavorativa, bensì incide direttamente sul patrimonio aziendale.

Inoltre, a tutela del diritto di difesa dell’incolpato, la Corte ha ravvisato che la contestazione è stata tempestiva, l’illecito reiterato e corroborato dall’accertamento delle giacenze di cassa della giornata.

In questa sfida tra operato umano e tecnologia, per le aziende resta comunque un punto fermo: la necessità di collaborare con partner investigativi capaci di individuare per ogni caso la soluzione corretta e più efficace da tutti i punti di vista, non ultimo, sul piano legale.

 

Foto credit: Bansky

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