L’importanza dell’intelligence applicata al mondo della travel security

Numerosi Executive effettuano trasferte di lavoro in Paesi esteri con soggiorni che possono durare anche più di un giorno. Tali spostamenti possono esporre il viaggiatore a rischi per la propria incolumità oltre che per la propria azienda, in caso di sottrazione di informazioni e/o attività criminali.

Tra le principali problematiche da gestire per le varie unità di corporate security aziendali, vi sono certamente le diverse esigenze dei propri trasfertisti durante le missioni in territorio straniero. Molto spesso infatti, procedure di livello corporate o semplici norme di buon senso vengono disattese in nome di una maggior semplicità o velocità di movimento, sempre convinti che il peggio non è ancora accaduto e, se accadrà, altri ne saranno vittime.

In questo periodo però, si è potuto assistere alla trasversalità della minaccia e dell’esposizione al rischio, rendendo residenti, turisti ed Executive aziendali target allo stesso livello. A fronte di questo contrasto tra rischio reale e rischio percepito, cosa è possibile fare per ridurre e mitigare i rischi, riuscendo a rispondere positivamente alle richieste dei top Executive che, molto spesso, “gradiscono” viaggiare in solitaria e senza dispositivo di sicurezza al proprio seguito?

Risulta certamente indispensabile incrementare tutte le attività di “intelligence protettiva e controsorveglianza”, peraltro già svolte in caso di predisposizione di dispositivi di sicurezza attiva da dispiegare sul territorio. Nella quasi totalità dei casi, le attività criminali di qualsiasi tipologia (rapina, furto, rapimento, ecc..) difficilmente vengono svolte d’impeto e senza attività di sopralluogo e di valutazione di scenario; proprio durante queste attività, team di operatori dedicati ad attività di controsorveglianza e analisi potrebbero “prevenire” i diversi atti o ridurre sensibilmente l’impatto degli stessi. Un esempio concreto è possibile trovarlo tornando al 2003, quando furono scoperte diverse attività di sorveglianza da parte di membri operativi di al Qaeda a danno di istituzioni finanziare e commerciali negli Stati Uniti e in Asia; proprio nel continente asiatico, venne appurato come i terroristi trascorressero intere giornate seduti in diversi locali, di fronte a possibili target, registrando tutti i movimenti e studiando i dispositivi e le procedure di sicurezza poste in essere.

Tali attività, “invisibili” per l’Executive che viaggia, potrebbero certamente minimizzare l’esposizione al rischio e attivare, in caso di necessità, tutte le possibili variazioni già elaborate in fase di pianificazione attraverso attività di intelligence (studio ed elaborazione dei tempi di percorrenza, analisi itinerari alternativi, individuazione di “safe areas” da utilizzarsi in casi di attivazione, approfondimento sulle zone cittadine attraversate, ecc..).

Unitamente a tali attività di stretta competenza degli “operatori di security”, campagne di sensibilizzazione sulla corretta individuazione ed identificazione dei rischi a favore dei propri dipendenti risultano assolutamente necessarie per far accrescere la consapevolezza che i rischi e le minacce esistono e necessitano di essere affrontate e gestite. Inoltre, l’eventuale partecipazione a briefing pre-viaggio per gli Executive potrebbe far comprendere in prima persona quali siano gli scenari dove ci si appresta ad operare e quali potrebbero essere le zone in cui si è maggiormente “esposti”, senza trasmettere comportamenti paranoici ma invitando i business oriented ad effettuare piccoli esercizi di attenzione a dettagli che potrebbero rivelarsi fondamentali per prevenire eventuali attività criminali.

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