Nell’attuale scenario globalizzato, in fase di market entry e di miglioramento delle performance, il successo di un’azienda è sempre più legato alla capacità di analisi e comprensione dei punti di forza e debolezza dei propri competitor. Questo tipo di informazioni strategiche, che si traducono di fatto in vantaggi commerciali in un contesto sempre meno monopolizzato, appare fondamentale oggi per anticipare trend, individuare aree di business poco esplorate o acquisire significative quote di mercato.
Ma cosa accade, ad esempio, quando le informazioni sono utilizzate, senza autorizzazione e in violazione del codice etico aziendale, da un dipendente interno alla società per trarne un ingiusto profitto?
Secondo recenti ricerche, infatti, il fenomeno della concorrenza sleale è in continuo aumento nel territorio italiano.
Dal punto di vista legale, l’Unione europea (già nel Trattato di istituzione della Comunità) ha previsto il divieto di pratiche concordate che possano pregiudicare il libero scambio di merci.
In Italia, oltre alla figura dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la disciplina rimanda all’articolo 2598 e seguenti del Codice Civile, classificando il fenomeno come l’insieme di azioni svolte da chiunque usi i nomi o i segni distintivi di un marchio aziendale, generando confusione con i nomi o con i segni distintivi già utilizzati legittimamente e depositati da altre imprese.
In realtà, si tratta di un reato perpetrato in differenti modalità, come la contraffazione di un prodotto specifico, la falsificazione o imitazione di un brand nonché l’utilizzo improprio di materiale aziendale. La concorrenza sleale sempre più spesso si rappresenta poi come la sottrazione di know-how da parte di dipendenti ed executive di un’impresa, che impropriamente offrono informazioni e capacità ad aziende competitor o ne costituiscono ex novo.
Inevitabilmente, di pari passo con l’aumento dei casi, si registra un incremento delle richieste di attività di indagine, mirate alla tutela dell’impresa. Se è vero che queste coinvolgono le Istituzioni, è pur significativo notare come le imprese scelgano sempre più di frequente di impiegare agenzie di investigazione, opportunamente dotate di licenza, al fine di collezionare elementi probatori utili a rappresentare il danno subito.
La Corte di Cassazione Civile, in sue varie pronunce, come la sentenza n. 16294 Sezione II del 25/09/2012, ha sottolineato più volte l’importanza delle agenzie investigative per la raccolta di prove che dimostrino la sussistenza dell’azione di concorrenza sleale e l’esistenza effettiva di un danno a carico dell’azienda.
Questa, infatti, grazie anche al contributo delle attività investigative producibili in giudizio, può accedere ai risarcimenti previsti dall’articolo n. 2600 del Codice Civile, reintegrando quanto perso a causa dell’illecito perpetrato ai suoi danni.